sabato 29 novembre 2008

Un Obama per l’Abruzzo?

L’elezione di Barack Obama è stato un evento d’importanza storica, al di là di come andranno i prossimi quattro anni. I connotati vanno ben oltre quelli di un afro-americano alla guida del Paese più potente del mondo in quanto - agli occhi della maggioranza degli americani e di tanti europei - il Senatore dell’Illinois è riuscito a catalizzare un diffuso desiderio di cambiare rotta e di motivare milioni di persone a diventare soggetti attivi nel processo politico. E non solo in America.
In un Abruzzo scosso da scandali che si estendono su almeno due giunte (di opposti schieramenti) e numerosi altri problemi da indagare localmente a causa delle loro ambiguità, questa “novità americana” ha costituito immediatamente un modello per far pensare alle coalizioni in campo che potesse essere conveniente scommettere su facce più giovani e pulite per conquistare consensi e seggi nelle prossime giunte regionali. Tre dei candidati principali - Carlo Costantini per il centrosinistra, Gianni Chiodi per il centrodestra e Rodolfo De Laurentis per l’Udc sembrano calzare a pennello l’identikit del perfetto candidato giovane e di rottura con il passato.
E' comprensibile, quindi, che numerosi esponenti politici possano guardare al President-elect per dare idee alle proprie campagne. L’ultimo in ordine di arrivo è stato Luciano D’Alfonso quando ha dichiarato che per vincere si deve “fare come Barack Obama, farci vedere dalla gente, stare tra la gente.”
Ma in pratica come ha fatto Obama a “stare tra la gente”?
Ha impostata la strategia comunicativa della propria campagna sulle percezioni degli elettori, ricordando sempre che:
1) è soprattutto il candidato presidente che conta. La Palin ha avuto un effetto dirompente e ha aiutato McCain a riattivare una parte della base repubblicana, ma l’elettore americano vota il presidente, non il vice. In Italia, d’altro canto, si tende a votare pensando principalmente alle valutazioni del candidato presidente, non ai grandi del partito che vengono in sostegno, anche se sono loro a riempire più facilmente teatri, piazze e pagine di giornali. Inoltre, i candidati nelle liste portano un contributo relativo alla consistenza del candidato presidente in quanto solo un terzo degli elettori esprime la propria preferenza ad personam. Il referente dello schieramento, dunque, deve emergere fortemente e dare l’impressione che sia affidabile sia negli incontri pubblici, che nella comunicazione scritta e in tutte le sue forme;
2) Serve un’identità chiara. Dev’essere evidente e immediato perché proprio quel candidato deve essere preferito agli altri. Lo slogan è fondamentale, ma è solo una componente di questo aspetto in quanto serve a poco se non è sostenuto da una coerente campagna di comunicazione. Ma soprattutto deve rispondere al complesso insieme di preoccupazioni e esigenze dell’elettorato. Chiediamoci che impressione potrebbe esserci se “Casa Abruzzo” o “Dalla parte dei cittadini” rispondessero davvero a questo criterio di comunicazione. Il candidato, e i suoi sostenitori, dovrebbero essere in grado di dire sinteticamente, ma efficacemente perché “proprio lui”. Infatti
3) Il marketing politico si fonda sempre sulle percezioni dell’elettorato. Molti commentatori dicono che Obama ha vinto grazie e soprattutto alla crisi finanziaria e alla crisi di fiducia degli americani. La realtà è l’inverso: lui martellava sull’economia e sul tema “cambiamento credibile”, rispondendo alle esigenze dell’elettorato. La campagna di McCain, contemporaneamente, era, invece, fondata sui valori della “famiglia tradizionale”, sulla sicurezza e sullo slogan e, dunque, alla fine dei conti rispondeva più alle esigenze di qualche anno fa;
4) Il mezzi non sono il messaggio. Tappezzare le città di manifesti o attivare un bel sito è solo un punto di partenza. Si è parlato ad nauseam di come Obama abbia usato la web, i social media come Facebook e Myspace, e le funzionalità dei cellulari a motivare e coinvolgere milioni di giovani, e non solo. Ma il vero segreto è che tutti questi strumenti erano mirati a diversi tipi di pubblico ed erano precisi e finalizzati ad obiettivi chiari – oltre che gestiti da persone che potevano agire con autonomia e in sintonia con il candidato. è meno importante la quantità di iscritti alla pagina su Facebook ed è più importante, invece, il comportamento che a loro viene stimolato dalla loro stessa partecipazione;
5) Segmentare i messaggi-chiave sui temi di maggior interesse reale deve essere una pratica diretta a quelle fasce dell’elettorato che ne sono più sensibili. In estrema sintesi: è opportuno spingere su scuola e opportunità ai giovani attraverso i media nuovi, ma i problemi della terza età vanno indirizzati altrove;
6) È importante non virare dal copione. Quando si decide di imegnarsi su identità, temi e messaggi specifici, si deve battere su quelli senza farsi coinvolgere in dibattiti e argomenti che distraggono l’elettorato. Ogni parola che il candidato spende parlando di alleanze, regole elettorali e altri temi, attacchi e notizie che non rispondono alla strategia comunicativa, è un’opportunità persa;
7) E’ necessario essere brevi e semplici. Non perché la gente lo sia, ma perché non ha tempo da perdere.

L’Abruzzo non è certo l’America. Il voto d’opinione è meno diffuso e gli interessi diretti di gruppi di appartenenza sono più influenti che oltreoceano. Ma gran parte degli esiti positivi delle ultime elezioni in Abruzzo, e nelle regione limitrofe, sono andati, comunque, a chi convinceva i cittadini che potevano rispondere meglio alle loro aspirazioni e paure.
Erano loro l’alternativa più credibile.

sabato 25 ottobre 2008

It's not over 'till it's over

A leggere i sondaggi sulla stampa americana e italiana è facile pensare che in America sia già tutto deciso. Il candidato democratico Obama distacca il repubblicano McCain con una forbice che va dai sette ai nove punti. In alcuni casi il Senatore dell'Ilinois ha superato la soglia del 50% per la prima volta.
Ma attenzione, come hanno fatto notare commentatori autorevoli d'Oltreoceano (e alcuni italiani come il sondaggista Giuseppe Cuscusa), il gap tra Obama e McCain nel running poll della Gallup è inferiore a quello goduto da Kerry su Bush nello stesso periodo di quattro anni fa, e sappiamo tutti com'è andata a finire.
Ci sono altri motivi per cui McCain e i suoi sostenitori possono rassicurarsi. Solo poche settimane fa McCain era in testa di due punti, e poi anche altre volte, con abili (anche se a volte discutibili) colpi di maestria politica ha dimostrato a livello nazionale e locale di poter cambiare le carte in tavola e vincere.
Le prospettive gli sono meno confortanti, però, se si considera l'Electoral College, cioè quel meccanismo elettorale, retaggio dei primi dell'Ottocento, secondo il quale per diventare Presidente degli Stati Uniti non conta vincere il voto popolare, bensì il voto popolare in ciascuno di un gruppo di stati che, grazie alla loro popolazione, danno almeno 270 grandi elettori. Ricordate Florida nel 2000 e Ohio nel 2004?
La differenza, oggi, è che se Obama prende solo uno tra Ohio, Florida e Virginia ha vinto in quanto la differenza nella maggioranza degli altri stati e incolmabile (come il lead di McCain in Texas e nel "vecchio sud" è incolmabile).
Obama e in testa di solo 4 punti nella Florida ma di circa 10 nell'Ohio. Il problema per McCain questa volta non è solo nei sondaggi, ma nel fatto che questi due stati più degli altri stanno soffrendo la crisi economica - e neanche l'Amministrazione Bush prevede che la situazione migliorerà prima di Capodanno.
Detto questo è d'obbligo rammentare una delle affermazioni più famose di Yoghi Berra, grande vecchio del Baseball: "It's not over 'till it's over." La partita non è finita finché l'arbitro non fischia la fine.

mercoledì 1 ottobre 2008

Dollari in tasca....Obama come Clinton

“It’s the economy, stupid” - il famoso richiamo che Bill Clinton ha fatto mettere in mostra in tutti i suoi uffici elettorali e durante tutte le riunioni della campagna elettorale gli ha portato fortuna nella contesa alla casa bianca. Questa frase è diventata oramai un mito consolidato tra gli studiosi e appassionati delle elezioni presidenziali americane. Mettere al centro di una campagna elettorale la preoccupazione economica degli americani ha portato Bill Clinton negli anni scorsi alla presidenza contro tutte le previsioni di aalisti e commentatori.La crisi finanziaria americana (per non parlare delle sue effetti mondiali) inqueste ore ha oramai messo in secondo piano "l'effetto Palin" della convention repubblicana. Agli occhi dell'elettorato stelle e strisce il repubblicano McCain ha cercato di assumersi la leadership sul tema della crisi ritirandosi dalla contesa elettorale momentaneamente per occuparsi di una soluzione legislativa tanto attesa dagli statunitensi e chiedendo ad Obama di fare lo stesso. Obama ha rifiutato dicendo che un presidente deve sapere occuparsi di più cose contemporaneamente. Più che la loro performance durante il primo dibattito pare essere proprio questa la differenza di stile che guida i due contendenti alla Casa Bianca a colpire l’elettorato. Nel sondaggio di USA Today/Gallup condotto tra il 26 è il 27, Obama distanzia tutti gli altri soggetti politici per quanto riguarda la propria risposta alla crisi di Wall Street, con un livello di approvazione allo 46% che distanzia McCain di 9 punti e Bush di 18. L’insoddisfazione del popolo americano con la soluzione di Bush é forte e diffusa. Gran parte dei deputati “ribelli” - sia democratici che repubblicani - non hanno basato la loro decisione sulle ideologia. Hanno votato per dare un segnale a quegli elettori indignati della ingente somma allocata (tra i 250 e i 700 miliardi di dollari) quando hanno visto ben poco per risolvere i propri problemi, quelli di “main street” che ritengono ormai come sia arrivata la recessione perché la sentono sulla propria pelle. In un certo senso è un ritorno al politics as usual (la politica di sempre) in quanto, con poche eccezioni, le elezioni di oltre oceano si decideranno su come stanno economicamente gli elettori.Più sarà diffusa la sensazioe di benessere e il senso che l’economia stia migliorando, più sarà probabile che il partito di Bush e McCain manterrà la Casa Bianca. Diversamente chi è più capace di convincere gli americani che possa migliorare il loro conto in banca e, grezzamente, la quantità di banconote nel proprio portafoglio (“wallet”, appunto, in inglese).Se Obama vuole vincere dovrà quindi riportare il dibattito pubblico e mediatico sull’economia e l'economia quotidiana delle famiglie americane che potrebbero votarlo, e John McCain lo sa.

(pubblicato prima qui: http://www.insidernews.it/leggi.asp?id_notize=116)

mercoledì 17 settembre 2008

Joshua Lawrence a Confronto 2008,

Sabato 20 settembre, ore: 18.30 presso il Teatro Comunale dell'Aquila terro una lezione dal titolo: "La campagna elettorale U.S.A. - Tecniche di comunicazione e marketing politico negli States”
Il seminario si svolgerà in forma di intervista con il Dr. Paolo Ghersina.

Il seminario, come tutti i corsi nei tre giorni, e a titolo gratuito. Si può iscrivere online (http://www.confronto.org/index.php?option=com_chronocontact&chronoformname=Iscrizione2) oppure contattare la segreteria organizzativa:
Segreteria Organizzativa
info@confronto.org
+ 39 392 12 04 722
http://www.confronto.org

Confronto è la prima scuola di formazione politica, nell’Italia della seconda Repubblica, che supera il concetto di scuola di partito e/o di corrente e si caratterizza per essere al di sopra delle parti e per promuovere un nuovo modello di rapporto tra la classe politica e la società.

Programma Completa delle tre giornate: http://www.confronto.org/index.php?option=com_content&view=article&id=67&Itemid=59

Wallet politics

Tra gli studiosi e gli appassionati delle elezioni presidenziali americane è diventato quasi un cliché il famoso "It's the economy, stupid" che Bill Clinton metteva in mostra in tutti i suoi uffici elettorali e durante tutte le riunioni. La focalizzazione sulle preoccupazioni economiche degli americani ha portato Clinton alla presidenza contro tutte le previsioni (tranne le sue).
Il fallimento della Lehman Brothers e la situazione instabile del gigante assicurativo A.I.G hanno messo sotto il naso di tutti l'urgenza dei temi economici. L'impatto della candidatura dalla Palin aveva distolto, come speravano gli strateghi repubblicani, l'agenda politica dalla crisi economica molto sentita dall'elettorato. Infatti, con poche eccezioni, le elezioni d'oltre oceano sono decise da come stanno economicamente gli elettori. Quanto più sono diffusi il benessere e il senso che l'economia stia migliorando tanto più è probabile che il partito al potere manterrà la Casa Bianca. Allo stesso modo ha più probabilità di vittoria il più capace di convincere gli americani che il loro conto in banca potrà migliorare e, grezzamente, aumentare la quantità di banconote nel proprio portafoglio ("wallet", appunto, in inglese).
Se Obama vuole vincere deve riportare il dibattito pubblico e mediatico sull'economia e far sì che ci rimanga, e John McCain lo sa.

(pubblicato prima su www.agenziaelettorale.it)

lunedì 23 giugno 2008

Consumption VS Conservation

Elezioni Usa: l'ambientalismo e la sfida del caro-energia

Nonostante il primato di principale consumatore di energia e di risorse – sia in termini pro-capite che assolute – gli Stati Uniti hanno recentemente dato vita ad alcuni dei primi e più diffusi movimenti ambientalisti. Questa apparente contraddizione è arrivata in primo piano nelle elezioni presidenziali americane grazie a due avvenimenti di questa settimana: la tensione tra preservare l’ambiente e il costo dell’energia. Da un lato, il premio nobel e ex vicepresidente Al Gore ha annunciato il suo sostegno ufficiale per il candidato democratico ha affermato martedì che Obama è “un candidato che, rispondendo a coloro che dubitano sulle nostre capacità di risolvere la crisi climatica e creare un futuro luminoso, ha ispirato milioni di persone a dire “Si, si può fare”. Dall’altro lato, il candidato repubblicano John McCain ha annunciato lunedì (con il ventilato sostegno del Presidente) che un punto chiave nel suo programma energetico è il ritiro del blocco sullo sfruttamento di riserve di gas e petrolio dai bacini lungo le coste.

Il Congresso ha imposto un moratoria in tutte le acque costieri (tranne il Golfo di Messico e alcuni parti dell’Alaska) già nel 1981, e il primo Presidente Bush ha imposto un altro blocco con un decreto esecutivo nel 1990 a seguito esteso da tutti i suoi successori (scadrà nel 2012).

McCain ritiene necessario l’apertura a nuove esplorazione e sfruttamento lungo le coste sia per favorire la riduzione del prezzo del petrolio, sia per le risorse che arriveranno allo stato dalle nuove licenze concesse. Obama, invece, vuole mantenere la moratoria, e afferma che comunque, anche se si facesse non potrebbe avere un impatto sul prezzo del petrolio in meno di 5 anni.

Comunque, al di là delle implicazioni reali dei due annunci sull’economia americana, è opportuno chiedersi che tipo di impatto avranno le questioni ambientali e economiche nelle elezioni del 3 novembre è opportuno chiedersi che influenza avranno le questioni ambientali sul comportamento dell’elettorato e se tali questioni entreranno in conflitto con il desiderio di prezzi più basse alla pompa. In altre parole, che cosa è più importante all’elettore americano: i SUV o la sicurezza ambientale delle coste per la flora e la fauna che ci abita, foche incluse.

Una cosa è sicuro: il carobenzina sta già modificando pesantemente il comportamento degli americani – che snobbano sempre di più le vetture ad alto consumo, mettendo in crisi le case automobilistici stelle e strisce. In altre parole, l’alto prezzo del carburante sta già cambiando il rapporto degli americani con la macchina. L’ironia è che insostenibilità dei costi potrebbe modificare in modo duratura il comportamento del consumatori americani con un impatto positivo sull’ambiente che difficilmente sarebbero stati possibili attraverso la regolamentazione governativa.

apparso originalmente su Insidernews.it (http://www.insidernews.it/leggi.asp?id_notize=108)

SUV o orsi polari?

Due avvenimenti recenti della campagna elettorale americana risollevano una questione di base della politica americana (se non mondiale) - la tensione tra preservare l'ambiente e il costo dell'energia. Da un lato, il premio nobel ed ex vicepresidente Al Gore ha annunciato il suo sostegno ufficiale per il candidato democratico affermando che Obama è "un candidato che, rispondendo a coloro che dubitano sulle nostre capacità di risolvere la crisi climatica e creare un futuro luminoso, ha ispirato milioni di persone a dire "Si, si può fare".

Quasi contemporaneamente il candidato repubblicano John McCain ha annunciato (con il ventilato sostegno del Presidente) che un punto chiave nel suo programma energetico è il ritiro del blocco sullo sfruttamento di riserve di gas e petrolio dai bacini lungo le coste (vietati quasi ovunque nel paese dal 1990).

Al di la dei meriti concreti dei due annunci è opportuno chiedersi che tipo di impatto avranno le questioni ambientali ed economiche nelle elezioni del 3 novembre e chiedersi se tali questioni entreranno in conflitto con il desiderio di avere prezzi più bassi alla pompa di benzina.

In altre parole, che cosa è più importante per l'elettore: il Suv o la sicurezza ambientale della flora e della fauna che popola le coste, foche e orsi polari inclusi.



(orginally published here: http://www.agenziaelettorale.it/electionrace/suv.html)

lunedì 26 maggio 2008

"It's not over until the fat lady sings"

C'è molta speculazione, in America quanto in Italia, sull'eventuale ritiro della candidatura della Clinton dalla corsa alla nomination dei democratici. Sono rimasti da decidere una manciata di stati e oramai le sue chance di acchiappare numericamente la nomination son paragonabili a quello della Roma di superare l'Inter a due giornate dalla fine del campionato. Insomma, non ci scommetterei soldi miei.
Come mai, allora, non si ritira?
Un'ipotesi è che, seppur improbabile acciuffare un sorpasso, nel circo della democrazia che è la Convention, intende far senitire il suo peso.
Ma per capire veramente la mentalità americana si deve ricordare che i sostenitori dei candidati presidenziali non sono così diversi dai tifosi della Roma. Arrivati fin qui, la Clinton sa che milioni dei suoi sostenitori pretendono che vada fino in fondo.
Per dirla con una vecchia canzone: It's not over until the fat lady sings.

mercoledì 5 marzo 2008

Maybe he meant "Claudia Cardinale"

"Lo slogan "si può fare" l'ha inventato lei un anno fa" - è la dichiarazione del Ministro della Pubblica Istruzione Beppe Fioroni sulla candidatura nel Pd di Daniela Cardinale, figlia dell'ex ministro Salvatore Cardinale. (http://www.corriere.it/politica/parolepolitica/08_marzo_05/)

Non ho visto i sondaggi o i focus group, ma non credo che i giovani o le donne del PD si sentono rappresentati da una candidatura come la Cardinale. Sospetto che tanti siano un po' delusi dopo tanti discorsi sul "merito".
Gian Antonio Stella si diverterà molto con questa lista di candidati.

Oh, e se il Ministro naviga in Internet può andare a vedere che il Candidato Obama sta usando lo slogan da quando ha vinto le elezioni a Senatore dell'Illinois.

Per vedere uno vecchio spot suo: http://www.akpdmedia.com/ads/index.html

lunedì 3 marzo 2008

Se 59 vi sembran pochi

C'è chi, tra gli operatori politici italiani, crede molto nel potere della Rete. Non ha tutti i torti. Si può affermare che la l'utilizzo dello strumento internet abbia giocato un ruolo importante sia nella campagna elettorale del 2006 che nella creazione del Pd. Il blog di Grillo è diventato un caso mediatico internazionale. I siti delle campagne elettorali americane - di entrambi gli schieramenti - sono molteplici e ben mirati. L'importanza della Rete nella vita politica statunitense è confermata, nel mio piccolo, dai link video che mi inoltra regolamente la mia prozia ottantenne dal Milwaukee.

Ma, come si sa, durante le elezioni si vede una proliferazione di media, nuovi e vecchi. L'efficacia dei quali dipende da molti fattori: sollecitano interesse e utilizzo, riescono a motivare "i credenti" o a far cambiare voto agli indecisi. Solo dopo le elezioni, tuttavia, è possibile dare un giudizio completo sul ruolo della Rete. Ma una cosa comincia ad apparire già chiara: anche in politica, attivare forum di per sè non fa notizia.

L'esempio più lampante è il lancio di ben 59 forum tematici del Partito democratico. Una conferenza stampa affollata in Via Sant'Andrea delle Fratte ma, il giorno dopo, dell'evento si trovava solo qualche breve riferimento in chiusura di qualche articolo. Nessuna traccia, il giorno dopo, su organi di partito come Europa e L'Unità.

Certo, dipende anche dall'insieme delle altre notizie del giorno. Ma scometto che il semplice fatto di aver aperto dei forum non interessa più a nessuno, se non a pochi appassionati della discusione politica sulla Rete - ma anche loro spesso preferiscono altri "luoghi": blog già popolati di visitatori, i forum dei principali quotidiani, i social network.

Non è bastato neanche il numero ambizioso di forum (ben 59) e alcuni titoli curiosi ("Prospettiva Nevskji", "Le disuguaglianze nella salute").

E forse non è un caso che oggi, a circa una settimana dal loro lancio, arrivarci dalla home page del Pd è un compito arduo.

giovedì 21 febbraio 2008

1000 euro al mese ai precari e un seggio al figlio di...

Non ho niente di specifico contro nomi che circolano in questi giorni sulla stampa e tra gli operatori sui giovani che occuperano il prestigioso ruolo di capolista del Pd nelle prossime politiche. Per principio preferisco dagli il benificio del dubbio che possano essere degni rappresentanti parlamentari e, perchè no, meritevole leader politici. Sono giovani e spesso carismatici e portano cognomi importanti e, soprattutto, riconoscibili. Ancora meglio se vogliono investire le proprie risorse.

Niente di nuovo. Ogni paese ha le sue dinastie politiche e economiche, ed è del tutto normale se un industriale o imprenditore desidera scomettere il proprio immagine e I propri risparmi per “prestarsi” alla politica. Mitt Romney, Al Gore, George Bush (x2), Riccardo Illy, Silvio Berlusconi e tanti altri. Si stima che oltre il 30% del congresso a stelle e striscia è composto da millionari (in dollari, ovviamente) .

Ma il sistema politica e sociale in America, per lo meno, li obbliga convincere l'elettorato che, nonostante tutto, sono “uno di loro”. E gli obbliga a sottoporsi ad estenuanti e frustranti primarie e campagne elettorali.

Il mio primo candidato "di successo" in America era conoscito soprattutto perché omonimo della grande catena di supermercati di famiglia (ha vinto allora, e dopo 18 anni è ancora uno dei Senatori più popolari dell'America).

Veltroni, con il rifiuto di De Mita e la proposta di un minimo di mille lire al mese per i tanti giovani laureati nel limbo del precariato sta cercando di trasmettere un immagine nuova, che rompe con l'Italia di sempre. Apparerebbe molto strano se poi scegliesse candidure simboliche che mandassero, nonostante l'età e le faccie fresche, un messaggio forte e contraditoria.

Ma non sono l'unico a esprimere perpelssità in una tale eventuale scelta: anche il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, a dovercelo ricordare: "Non possiamo avere un Paese in cui in campagna elettorale, nelle liste elettorali, ci siano tutti i 'figli di...'".


di Joshua Lawrence

We Can (Change our Slogan)

"Si può fare".
Non è che non funziona come slogan in sé, nel contesto delle primarie democratiche negli Stati Uniti (e probabilmente anche altrove), lo slogan è geniale. Racchiude in poche parole il messaggio principale e lo spirito della campagna di Obama. In un'America che cerca riscatto, "Yes we can" vibra come ritornello estivo.
È comprensibile, visto l'umore della base del centro sinistra in questo momento pre-elettorale, cercare qualcosa che dia energia ai propri militanti. In questo senso potrebbe essere utile, nel breve.
Ma è una scelta incompleta, o almeno così comincia ad apparire a tanti. Se lo nota anche uno come Alfonso Signorini (che si occupa di costume, non di comunicazione politica) nella sua trasmissione mattiniera su Radio Monte Carlo, lanciando un appello agli ascoltatori a mandare contributi migliori, dovrebbe cominciare a sembrare già vecchio agli strateghi del Pd.
Oltre ad essere un caso unico il fatto che uno dei principali partiti di una nazione europea adotti paro paro lo slogan da una campagna americana (una primaria in corso), è importante ricordare che, in Italia, il PD rappresenta la maggioranza uscente.
Obama, nella campagna americana, rappresenta lo sfidante, non l'uscente. Un messaggio di empowerment ha più senso. Ma, soprattutto, con lui il collegamento è diretto, non è mediato dall'immagine di altri. Quando lo usa Veltroni passa, necessariamente, per Obama.

giovedì 14 febbraio 2008

Maine 2008

Obama vince nel Maine


Cambia poco nel concreto, ma molto dal punto di vista simbolico.
Poco perché il Maine manda soltanto 24 degli 4.049 delegati al congresso democratico e perché il meccanismo di voto, il caucus (assemblee di simpatizzanti di un partito che si dichiarano pubblicamente per un candidato e poi si contano), gli consentirà di ottenere poco più della metà dei delegati nonostante l'ampio distacco in termini di punti percentuali.
Fa parte delle regole. Nel Nevada, sempre per i meccanismi e le regole locali del caucus, Obama ha preso un delegato in più nonostante avesse registrato meno consensi di Hillary Clinton.
Ma la vittoria di Obama nel Maine è stata importante perché, come nell'Iowa e con le vittorie schiaccianti in altri stati del "vecchio West" come Minnesota, North Dakota, Colorado e Idaho, dove è molto contenuta la quota dell'elettorato di colore o di altre minoranze, il "candidato nero" sfonda.
In una sua analisi Mino Fucillo ha descritto Obama come "...il complesso di colpa interiorizzato per il bushismo e la speranza di indistinti giorni migliori". Ma è una questione di senso di colpa o è il fatto che oramai, almeno in quelle parti degli Usa dove la popolazione nera è minoritaria, gli americani, o quantomeno l'elettorato democratico, quasi non ragiona più in termini di razza? In quell'America oramai abituata all'idea di un presidente nero o donna, grazie a popolarissime serie televisive come "24", la "carta razza" di Obama funziona proprio perché quasi non la usa.
Obama sa di non averne bisogno. Non ha bisogno di dimostrare che è nero, ma che potrebbe fare il presidente. D'altra parte, chi non lo voterebbe a causa del colore della sua pelle non voterebbe comunque un candidato presidente democratico.



Pubblicato prima in: http://www.agenziaelettorale.it/electionrace/maine.html