sabato 29 novembre 2008

Un Obama per l’Abruzzo?

L’elezione di Barack Obama è stato un evento d’importanza storica, al di là di come andranno i prossimi quattro anni. I connotati vanno ben oltre quelli di un afro-americano alla guida del Paese più potente del mondo in quanto - agli occhi della maggioranza degli americani e di tanti europei - il Senatore dell’Illinois è riuscito a catalizzare un diffuso desiderio di cambiare rotta e di motivare milioni di persone a diventare soggetti attivi nel processo politico. E non solo in America.
In un Abruzzo scosso da scandali che si estendono su almeno due giunte (di opposti schieramenti) e numerosi altri problemi da indagare localmente a causa delle loro ambiguità, questa “novità americana” ha costituito immediatamente un modello per far pensare alle coalizioni in campo che potesse essere conveniente scommettere su facce più giovani e pulite per conquistare consensi e seggi nelle prossime giunte regionali. Tre dei candidati principali - Carlo Costantini per il centrosinistra, Gianni Chiodi per il centrodestra e Rodolfo De Laurentis per l’Udc sembrano calzare a pennello l’identikit del perfetto candidato giovane e di rottura con il passato.
E' comprensibile, quindi, che numerosi esponenti politici possano guardare al President-elect per dare idee alle proprie campagne. L’ultimo in ordine di arrivo è stato Luciano D’Alfonso quando ha dichiarato che per vincere si deve “fare come Barack Obama, farci vedere dalla gente, stare tra la gente.”
Ma in pratica come ha fatto Obama a “stare tra la gente”?
Ha impostata la strategia comunicativa della propria campagna sulle percezioni degli elettori, ricordando sempre che:
1) è soprattutto il candidato presidente che conta. La Palin ha avuto un effetto dirompente e ha aiutato McCain a riattivare una parte della base repubblicana, ma l’elettore americano vota il presidente, non il vice. In Italia, d’altro canto, si tende a votare pensando principalmente alle valutazioni del candidato presidente, non ai grandi del partito che vengono in sostegno, anche se sono loro a riempire più facilmente teatri, piazze e pagine di giornali. Inoltre, i candidati nelle liste portano un contributo relativo alla consistenza del candidato presidente in quanto solo un terzo degli elettori esprime la propria preferenza ad personam. Il referente dello schieramento, dunque, deve emergere fortemente e dare l’impressione che sia affidabile sia negli incontri pubblici, che nella comunicazione scritta e in tutte le sue forme;
2) Serve un’identità chiara. Dev’essere evidente e immediato perché proprio quel candidato deve essere preferito agli altri. Lo slogan è fondamentale, ma è solo una componente di questo aspetto in quanto serve a poco se non è sostenuto da una coerente campagna di comunicazione. Ma soprattutto deve rispondere al complesso insieme di preoccupazioni e esigenze dell’elettorato. Chiediamoci che impressione potrebbe esserci se “Casa Abruzzo” o “Dalla parte dei cittadini” rispondessero davvero a questo criterio di comunicazione. Il candidato, e i suoi sostenitori, dovrebbero essere in grado di dire sinteticamente, ma efficacemente perché “proprio lui”. Infatti
3) Il marketing politico si fonda sempre sulle percezioni dell’elettorato. Molti commentatori dicono che Obama ha vinto grazie e soprattutto alla crisi finanziaria e alla crisi di fiducia degli americani. La realtà è l’inverso: lui martellava sull’economia e sul tema “cambiamento credibile”, rispondendo alle esigenze dell’elettorato. La campagna di McCain, contemporaneamente, era, invece, fondata sui valori della “famiglia tradizionale”, sulla sicurezza e sullo slogan e, dunque, alla fine dei conti rispondeva più alle esigenze di qualche anno fa;
4) Il mezzi non sono il messaggio. Tappezzare le città di manifesti o attivare un bel sito è solo un punto di partenza. Si è parlato ad nauseam di come Obama abbia usato la web, i social media come Facebook e Myspace, e le funzionalità dei cellulari a motivare e coinvolgere milioni di giovani, e non solo. Ma il vero segreto è che tutti questi strumenti erano mirati a diversi tipi di pubblico ed erano precisi e finalizzati ad obiettivi chiari – oltre che gestiti da persone che potevano agire con autonomia e in sintonia con il candidato. è meno importante la quantità di iscritti alla pagina su Facebook ed è più importante, invece, il comportamento che a loro viene stimolato dalla loro stessa partecipazione;
5) Segmentare i messaggi-chiave sui temi di maggior interesse reale deve essere una pratica diretta a quelle fasce dell’elettorato che ne sono più sensibili. In estrema sintesi: è opportuno spingere su scuola e opportunità ai giovani attraverso i media nuovi, ma i problemi della terza età vanno indirizzati altrove;
6) È importante non virare dal copione. Quando si decide di imegnarsi su identità, temi e messaggi specifici, si deve battere su quelli senza farsi coinvolgere in dibattiti e argomenti che distraggono l’elettorato. Ogni parola che il candidato spende parlando di alleanze, regole elettorali e altri temi, attacchi e notizie che non rispondono alla strategia comunicativa, è un’opportunità persa;
7) E’ necessario essere brevi e semplici. Non perché la gente lo sia, ma perché non ha tempo da perdere.

L’Abruzzo non è certo l’America. Il voto d’opinione è meno diffuso e gli interessi diretti di gruppi di appartenenza sono più influenti che oltreoceano. Ma gran parte degli esiti positivi delle ultime elezioni in Abruzzo, e nelle regione limitrofe, sono andati, comunque, a chi convinceva i cittadini che potevano rispondere meglio alle loro aspirazioni e paure.
Erano loro l’alternativa più credibile.